mercoledì 2 dicembre 2020

La solitudine di "Stoner", un romanzo senza epoca.


Autore:
John Williams

Titolo: Stoner

Anno di pubblicazione: 1965

Edizione: Fazi, 2016

Traduzione: Stefano Tummolini


Stoner è un libro semplice sotto diversi aspetti: la trama non presenta avvenimenti straordinari, il protagonista è lavoro da qualsivoglia rappresentazione di eroe letterario e anche la struttura narrativa di per sé non offre grandi novità a chi legge. Tuttavia, Stoner rappresenta per molti lettori, me compresa, uno dei libri più intensi e belli mai letti.


Stoner viene scritto nell'arco di cinque-sette anni e viene pubblicato nel 1965, senza disturbare troppo il mercato editoriale americano: vende poco più di duemila copie e viene quasi dimenticato fino alla pubblicazione dell'edizione inglese negli anni '70. Da quel momento Stoner inizia a farsi strada timidamente tra i lettori fino ai giorni nostri, e come allora, anche noi ci chiediamo ancora ancora perché questo romanzo non abbia mai avuto davvero il riconoscimento che merita. 


Da un punto di vista storico-letterario, potremmo spingerci abbastanza oltre da dire che Stoner è stato scritto e pubblicato nel periodo sbagliato. Una prosa come quella di Williams. non ha avuto abbastanza attrattiva per un mercato editoriale in piena transizione tra modernismo e postmodernismo. Accanto a un autore come Saul Bellow, che venne pubblicato nello stesso periodo dalla stessa casa editrice a cui John Williams aveva affidato Stoner, non c'erano molte speranze per uno scrittore come Williams; come non ce ne sarebbero state se fosse stato messo a confronto con qualsiasi altra opera letteraria del periodo. Anche per un pubblico ancora abituato alle strutture moderniste, Stoner risultava fin troppo semplice.


Nella situazione letteraria attuale, però, Stoner potrebbe davvero trovare i suoi lettori e lettrici.


Tuttavia, ancora oggi questo romanzo rimane un mistero per chi lo legge e per chi prova a trovare le ragioni dietro a tanto fascino. Come può un romanzo tanto semplice colpire così tanto a fondo nella sensibilità delle persone e rimanere nella memoria tanto a lungo? Sono domande che mi sono posta per mesi dopo averlo finito.


La risposta, sempre un po' parziale e mai troppo soddisfacente, è arrivata in un periodo di difficoltà profonda in cui mi sentivo davvero molto triste e sola. Stoner mi è tornato in mente con una velocità spaventosa e...mi sono sentita meglio. Ci sono libri, come Stoner, che non riesci a comprendere fino in fondo ma che toccano corde profonde come quella della solitudine. Perché William Stoner, il protagonista, l'eroe del romanzo (come è stato definito da molti critici) è una persona sola e solitaria e la sua vita ci viene presentata sin dall'inizio in maniera semplice e lineare.


La struttura del romanzo sfida narrativamente qualsiasi avanguardia letteraria, che sia di stampo modernista o postmodernista, e ci spinge a leggere ogni parola con calma, lentezza e pazienza. L'effetto che le parole hanno su di noi è dovuto allo stile semplice ("plain", come è stato spesso definito in passato) di Williams, ma nella sua semplicità si percepisce una cura nella scelta delle parole in ciò che viene narrato che ho riscontrato solo in Uomini e topi di Steinbeck. Quasi un altro caso di poesia in prosa, anche se le differenze nelle due tecniche narrative sono molto distinte.


William Stoner si iscrisse all'Università del Missouri nel 1910, all'età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell’università un manoscritto medievale, in segno di ricordo. Il manoscritto si trova ancora oggi nella sezione dei “Libri rari”, con la dedica: «Donato alla Biblioteca dell’Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di Inglese. I suoi colleghi». Può capitare che qualche studente, imbattendosi nel suo nome, si chieda indolente chi fosse, ma di rado la curiosità si spinge oltre la semplice domanda occasionale. I colleghi di Stoner, che da vivo non l’avevano mai stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere.


La storia di Stoner ci viene presentata attraverso un narratore in terza persona, che segue il personaggio in modo opposto a noi lettori: non si sbilancia troppo se non nell'esprimere candidamente una certa empatia per Stoner, pur riuscendo a mantenere una distanza che, paradossalmente, si scontra con il modo in cui Stoner viene caratterizzato e definito nel corso della storia. Se all'inizio la sensazione è quella di avere di fronte un vero e proprio personaggio apatico, una persona incapace di sentire emozioni o stimoli alla vita, con il passare delle pagine scopriamo un personaggio che dedica la sua intera esistenza al "sentire la vita". Per Stoner la vita è rappresentata soprattutto dalla letteratura, che fa sentire vivo lui e ciò che lo circonda. Dice bene Mel Livatino - e come lui tanti altri critici contemporanei - quando sottolinea che Stoner viene distrutto dalla vita che si trova a vivere, ma non viene sconfitto. Ed è una consolazione amara per noi che leggiamo, ma una possibilità per rivalutare la nostra condizione.


Stoner non viene sconfitto perché nonostante tutto è consapevole di sé stesso, non cede quando viene messo in dubbio il suo ruolo e il suo essere William Stoner.


Mentre sistemava la stanza, che lentamente cominciava a prendere forma, si rese conto che per molti anni, senza neanche accorgersene, come un segreto di cui vergognarsi, aveva nascosto un'immagine dentro di sé. Un'immagine che sembrava alludere a un luogo, ma che in realtà rappresentava lui. Era dunque se stesso che cercava di definire, via via che sistemava lo studio.


La solitudine e la tristezza di Stoner non possono sconfiggere nemmeno noi che leggiamo con trasporto la vita di un uomo raccontata nell'unico modo in cui sarebbe potuta essere raccontata. Leo Robson non pensa che la riscoperta del valore di Stoner sia dovuta a un cambiamento culturale e in parte sono d'accordo con lui. Stoner è stato sicuramente figlio di una visione dell'esistenza umana diversa da quella dei contemporanei di John Williams, ma è c'è un altro punto importante da sottolineare.


Stoner è un romanzo che non avrà mai un'epoca "giusta" per essere apprezzato veramente. Tuttavia, avrà sempre dei lettori pronti a seguire pagina dopo pagina la vita di un uomo semplice che, in ogni sua piccola sfumatura, rappresenta un po' tutti noi. In passato, ora o in futuro, Stoner non verrà mai sconfitto definitivamente perché, come il suo protagonista, rappresenta il "mood of proud forbearance" (Robson), e che rimane intrappolato nella sua stessa bellezza che gli impedisce di trovare un posto specifico nel mondo e nella storia della letteratura.


Ma è proprio grazie alla sua bellezza che Stoner troverà sempre qualcuno disposto a iniziarne la lettura.


Bibliografia:

Livatino, Mel. "Revaluation: A Sadness Unto The Bone: John Williams’S Stoner". The Sewanee Review, 2010, pp. 417-422.

Robson, Leo. "John Williams And The Canon That Might Have Been". The New Yorker, no. March 18, 2019, 2019, pp. 71-77.

Wakefield, Dan. "John Williams, Plain Writer". Ploughshares, vol 7, no. 3/4, 1981, pp. 9-22.

Nessun commento:

Posta un commento

Cerca gli articoli qui

Dove puoi trovarmi