mercoledì 5 agosto 2020

Tra Irlanda, spazi interiori e autofiction: "Acqua salata" di Jessica Andrews.

C'è stato un libro che ho letto negli ultimi mesi dal quale non mi aspettavo molto e, nonostante ciò, ha saputo sorprendermi nel profondo.

Autrice: Jessica Andrews
Titolo: Acqua salata
Titolo originale: Saltwater
Anno di pubblicazione: maggio 2019
Edizione: NNEditore, 2020
Traduzione: Silvia Rota Sperti

[Libro inviato dall'editore]

Acqua salata di Jennifer Andrews è un romanzo che è stato più volte paragonato ai libri dell'irlandese Sally Rooney ma con la quale, secondo me, condivide davvero poco. La mia è una sensazione anche insaporita da un pregiudizio nei confronti di Rooney che non ho mai letto, ma che mi è stata confermata da chi, invece, ha letto entrambi.

La storia che Jessica Andrews porta all'attenzione del lettore potrebbe rientrare in quella auto-fiction che ora sembra dominare il mercato editoriale, ma nasconde molto di più di ciò che a prima vista potrebbe sembrare un'autobiografia romanzata (cosa che l'autofiction non è, tra l'altro1).

Andrews riesce a costruire una storia abbastanza solida soprattutto attraverso l'originalità della struttura narrativa, un mélange tra diario personale e intimo e le memorie di una giovane ragazza, e la credibilità di un personaggio ben costruito. Di solito le narrazioni in prima persona come quella di Jessica Andrews non sono le mie preferite, ma devo ammettere che il modo in cui l'autrice ha saputo gestire questa modalità narrativa funziona bene. Quella che può sembrare una contraddizione che muove la vicenda, ovvero l'età della protagonista, Lucy, che sembra affrontare un vero e proprio percorso terapeutico auto indotto attraverso la scrittura, è l’elemento che regge tutta la storia.

Infatti Lucy si muove in modo sconnesso tra gli eventi del suo presente e del suo passato ai quali cerca di dare voce. A livello narrativo, ciò porta a una apparente frammentazione dell'io che viene mostrato a chi legge come la realtà che avviene sul momento ma che, molto probabilmente, è una rielaborazione del personaggio a distanza di anni. Il fatto che la rielaborazione - o manipolazione - degli eventi presenti e passati avvenga attraverso gli occhi di una giovane ragazza rende, paradossalmente, la storia ancora più credibile.

Tuttavia, Acqua salata non è la tipica storia della ricerca di un significato nascosto nella propria infanzia, bensì quella di un doloroso tentativo di dirsi le verità più nascoste che non si ha mai avuto il coraggio di tirare fuori. Non a caso prima ho parlato di un percorso terapeutico auto-indotto, perché la frammentazione temporale e narrativa che Jessica Andrews ha tentato di mettere in atto con Acqua salata sembra muoversi proprio su questi binari. La scrittura di Andrews è reale in questo senso e "di un'onestà disarmante"2 nel mettere nero su bianco una delle fasi di crescita più dolorose della vita di una persona e in particolare di una ragazza.

A riempire questa cornice narrativa anche ben bilanciata c'è un forte legame affettivo presente sin dall'inizio del romanzo. Il prologo propone subito lo stile della scrittrice che, sin dall'inizio, assorbe chi legge e fa ben sperare per quello che riguarda la struttura della narrazione. Uno stile del genere può non piacere, ma ciò non toglie che sia coerente - e anche ben usato - con la storia che viene narrata.

Comincia con i nostri corpi. Pelle contro pelle. Il mio corpo esplode dal tuo. (p. 7)

Sembra come se Andrews giochi continuamente con il confine metanarrativo della sua storia nella quale la scrittura stessa viene resa parte attiva di ciò che viene raccontato. Lucy si interroga spesso sull'importanza del linguaggio e delle parole - suo fratello è nato con una quasi totale sordità ed è, quindi, incapace di comunicare - ma soprattutto su quello del narrare.

Così tante parole. Da modellare sulle labbra o formare con le dita. Mi vanno di traverso le sillabe. (p. 68)

Oppure:

La mia amica fa la parte di Maria nella recita scolastica, mentre io sono il narratore. Ho delle parole da dire e lei no. Mi dici che è la parte migliore, ma non ne sono sicura. (p. 75)

Le sillabe vanno di traverso e la comunicazione diventa impossibile anche quando si hanno tutti gli strumenti per metterla in atto. Ciò di cui Lucy è alla costante ricerca è il suo modo di comunicare, tant'è che nel momento in cui si trasferisce nel Donegal qualcosa in lei sembra cambiare silenziosamente.

Credo che uno dei motivi per cui qui [nel Donegal] sono più calma sia il fatto di poter scegliere le mie parole. A Londra ero continuamente bombardata da messaggi pubblicitari sulla metro, tabelloni, manifesti, musica, annunci e frammenti di conversazioni altrui. Qui ci sono meno parole. [...] Devo cercare attivamente il resto del mondo per ricordarmi che esiste. (p. 68)

In questo modo, l'Irlanda sembra diventare la controparte dello spazio interiore che Lucy sta ricercando. Lucy si sente vuota e allo stesso tempo troppo piena di qualcosa che la opprime e dalla quale è dovuta scappare quando si è trasferita a Londra per frequentare l'università. Il "guscio" materno è il nucleo da cui si dipanano tutte queste riflessioni, il centro dei legami familiari che rendono questo libro tanto intimo. Lucy rielabora e racconta tutte le problematiche insieme a chi legge di lei, senza conoscere troppo bene la direzione di questo percorso interiore.

Sembra come se Lucy avesse bisogno di riprendere un contatto sano con gli oggetti e le cose intorno a sé dopo essersi allontanata dall'involucro caldo ma opprimente della madre. La narrazione si bilancia bene tra le sezioni del libro che riflettono le fasi di questo percorso: dalla dimensione più interna e primitiva in cui Lucy desidera la madre, all'allontanamento violento che Lucy inizialmente giustifica come reazione al rifiuto di un legame da parte della madre. L'iniziale dimensione interna da cui Lucy fugge viene ricercata sotto i "cieli infiniti" d'Irlanda durante quel processo doloroso in cui anche il contatto con sé stesse diventa "claustrofobico" e doloroso.

L'elemento portante, la dominante, di questo romanzo è sicuramente la forte componente sensoriale. Quasi tutto quello che viene narrato, sensazioni, emozioni e preoccupazioni vengono filtrate e narrate attraverso percezioni tattili, sonore, olfattive e di gusto. In alcuni punti del libro questo tipo di scrittura diventa forse troppo costruito, ma la rapidità tipica dei frammenti su cui la storia è costruita rende la lettura sicuramente più scorrevole.

I frammenti scorrevoli:

Ero sempre stata la prima a svegliarmi e salivo in cima allo scivolo vestita dei miei pantaloni con le fragole, imparando la forma silenziosa del mattino. (p. 45)

Vorrei costruire un muretto a secco. [...] Sarà un muretto piccolo, facile da scavalcare. Non voglio rinchiudere nessuno né escludere nessuno. [...] Tornerò a trovare il mio muretto di tanto in tanto. Dirò ad amici e amanti: "L'ho costruito io". E anche se non mi crederanno, mi passerò i pollici sulle cicatrici dei polpastrelli e saprò che è vero, e questo mi basterà. (p. 207)

Uno dei frammenti meno scorrevoli:

Faccio fatica a dormire nel cottage. Credo sia perché non ho molta gente con cui parlare e i pensieri mi restano intrappolati sottopelle come vesciche. Non sanno dove altro andare e vagano per il mio corpo mentre sono sdraiata a letto, sfregando contro i bordi. (p. 55)

Il finale mi ha soddisfatta: si percepisce che l'ultimo frammento, non meno doloroso degli altri, non sia la fine di quel percorso iniziato da Lucy ma che il cambiamento più importante sia comunque già avvenuto.

Leggere questo libro è stato un po' come rivivere lo stesso percorso di distacco e riavvicinamento alle proprie origini e, devo ammettere, Jessica Andrews è riuscita a riproporre lo schema in maniera convincente e a tratti anche toccante.

Una piccola postilla per finire. Ho trovato curioso che nel mondo anglosassone questo romanzo sia stato portato agli occhi dei lettori come la storia dell'ingresso nell'età adulta di una giovane ragazza del Nord dell'Inghilterra. Mi ha sorpreso scoprire quanto il pubblico si sia legato a questa definizione di "working-class-girl novel" (un romanzo con protagonista una ragazza della classe operaia) e sia rimasto sconvolto nello scoprire che non si tratta di nulla di tutto ciò. O meglio, è la stessa Jessica Andrews a scrivere sul suo blog che tra le tematiche trattate nel romanzo ci sia anche quella della classe sociale, ma ci tiene a specificare che più che la classe sociale in senso politico, si tratti più del luogo da dove proveniamo come persone, quello che definisce le nostre storie e noi stessi in quanto esseri umani.

My novel (that word again) is mostly about bodies, desire and intimacy and the way that our perceptions of these things are influenced by the past and social class (or the places we come from, I suppose).3

Nello stesso passaggio, Andrews ritorna anche sulla questione dell'autofiction che ho menzionato sopra, sottolineando il fatto che quando leggiamo auto-fiction bisogna soffermarsi più sulla fiction che sull'auto, ovvero trattare ciò che leggiamo come fatti finzionali, come letteratura; non come biografia.

Here are a series of 'choice' extracts that are still in early stages and not in any kind of chronological order. It is autofiction which means that it is rooted in my experiences but it is still fictional. That is an important thing to remember. 4

Nel libro di Andrews non ho trovato grandi riflessioni sulle difficili condizioni delle famiglie del nord dell'Inghilterra - Lucy nasce e cresce a Sunderland - in riferimento anche al trasferimento della protagonista a Londra. Sebbene Jessica Andrews sia riuscita comunque a costruire uno sfondo sicuramente molto realistico dell'Inghilterra del nord-est negli anni '90, non credo che sia un aspetto particolarmente rilevante ai fini della storia che viene raccontata.

[1] Sturgeon, J., 2020. 2014: The Death Of The Postmodern Novel And The Rise Of Autofiction. [online] Flavorwire.


[2] Cosslett, R., 2019. Saltwater By Jessica Andrews Review – A Coming-Of-Age Debut Novel. [online] The Guardian.


[3] Andrews, J., 2017. Process — Jessica Andrews. 14th March 2017. [online] jessica-andrews.com.


[4] Ibidem.

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