lunedì 20 aprile 2020

Un libro per la solitudine: "Sostiene Pereira" di Antonio Tabucchi

Ci sono alcuni libri che ho letto in passato e dei quali non sono mai riuscita a scrivere nemmeno una parola. Pigrizia, paura o l'ignoto, Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino o Trilogia di New York di Paul Auster, ma anche il mio amato L'urlo e il furore di William Faulkner rientrano in questa lista. Ce n'è uno, però, che non ho mai affrontato per ragioni molto personali ed è Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi. Visto il momento che tutti stiamo vivendo e il tempo passato che mi ha permesso di elaborare quello che mi frullava in testa, forse è arrivato il momento di parlarne.

Autore: Antonio Tabucchi
Titolo: Sostiene Pereira
Anno di pubblicazione: 1994
Edizione: Feltrinelli, 2014

Letto da: Sergio Rubini
Per: Emons Audiolibri

La mia storia con Pereira: 

L'aspetto più affascinante della mia storia con Sostiene Pereira è che non l'ho mai letto in senso letterale, ma ascoltato. Era l'estate del 2018 e mi trovavo ormai da qualche giorno ricoverata in ospedale, da sola e molto triste. Capirete già a questo punto che ci sono un po' di punti di contatto con la situazione che stiamo vivendo tutti in questo periodo, presi molto alla lontana e soprattutto, per mia fortuna, dal punto di vista medico. Sto bene, sono sana e in salute e ciò che è successo nel 2018 fa parte solo del mio passato.

Ero sconsolata perché non si riusciva bene a capire cosa avessi, molto triste perché lontana nel quotidiano da mia madre e da mio padre ed era uno dei primi importanti allontanamenti da entrambi. Avevo paura di rimanere sola, perché seppure la stanza nella quale mi trovavo ospitava altri pazienti, mi sentivo terribilmente sola. Il mal di testa faceva ormai parte delle mie giornate e non riuscivo a leggere nemmeno una riga dei libri che mia madre mi aveva portato in ospedale per farmi sentire "più a casa". Quindi c'era anche una buona dose di frustrazione per non potermi portare avanti nelle letture, nello studio e...nella vita. Ho dovuto accettare un blocco improvviso alla mia quotidianità, era estate e mi stavo anche abbastanza godendo un periodo di certa spensieratezza; avevo esami da fare davanti a me che mi avrebbero portato alla laurea e non mi stavo minimamente prendendo cura del mio corpo. Insomma, vivevo da un po' di tempo in una specie di limbo dal quale entravo e uscivo per non sentire troppo il distacco da una vita passata che era finita bruscamente qualche mese prima, dall'idea che di lì a breve avrei dovuto prendere una scelta che, seppur piccola nell'assoluto, per me era importantissima: cosa fare dopo la laurea. Ero spaventata e non volevo sentirlo. Arrivata e bloccata in ospedale, perciò, ero stata un po' costretta a fare i conti non tanto con la mia situazione di salute che sul momento non mi preoccupava più di tanto - ci avrei fatto i conti dopo, tornata a casa con il terrore di ammalarmi di nuovo - ma con il fatto di dover improvvisamente cambiare le mie abitudini. Anche alimentari, visto il digiuno totale - sì, anche di acqua - che ho dovuto fare per cinque giorni buoni.

In questa complicata ma annebbiata situazione in cui sentivo i sintomi ma non la preoccupazione, un mio carissimo amico decise di venirmi a trovare portando con sé il suo iPod con dentro alcuni audiolibri, dopo aver saputo che non riuscivo a leggere niente. Per puro caso, portata dall'ispirazione e da un vago ricordo di quel titolo, decisi di iniziare l'ascolto di Sostiene Pereira, letto da Sergio Rubini. Fu amore.

Recensione:

Il primo elemento che attirò la mia attenzione durante l'ascolto dell'audiolibro fu il ritmo: il romanzo di Tabucchi letto da Rubini è forse la melodia più ben scandita che io abbia mai avuto il piacere di ascoltare; ritmi lenti ma sostenuti che danno un solido supporto alla storia di Pereira, un ritmo che riprende in parte anche la sua vita calma e ripetitiva. Anche lo stesso sintagma "Sostiene Pereira..." che apre paragrafi e capitoli del libro fa parte di quella musica che la narrazione crea in ogni pagina e che porta il lettore alla scoperta di questo uomo apparentemente mediocre.

Pereira non si scompone, non si agita, svolge diligentemente il suo lavoro che lo mette in un contatto quotidiano con la letteratura, soprattutto quella francese che adora. Pereira è un uomo abitudinario e anche un po' piatto, ma buono. Solo quando Monteiro Rossi fa capolino nella sua vita, il ritmo della narrazione e della vita del protagonista cambia radicalmente, perché Pereira è fondamentalmente bloccato in quella stessa quotidianità e ancorato a un passato del quale non riesce a liberarsi; infatti, tutti i giorni Pereira parla al ritratto della moglie morta anni prima, le chiede consiglio e si confida con lei.

Monteiro Rossi riesce inconsapevolmente a sbloccare una leva nell'animo di Pereira, il quale si risveglia da un torpore che inibisce tutte le sue facoltà più profonde. Il tempo in cui vive Pereira non è il presente, bensì un passato chiuso nella bolla della sua quotidianità. Il risveglio del personaggio è lento, graduale e accompagnato da una bellissima e nostalgica Lisbona che, con spirito molto umano, vive con la consapevolezza del passato rivolgendo sempre lo sguardo al futuro.

Questa è forse la lezione più importante che Sostiene Pereira mi ha insegnato nel tempo. Si è posata dentro di me, ha macerato e ha dato i suoi frutti. Il dottor Cardoso, da cui Pereira si reca per curare la sua obesità, gli rivolge un appunto che racchiude lo spirito non solo di Lisbona, ma di tutto il romanzo e dell'umanità intera:

"la smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro."

Pereira, bloccato nella fotografia della moglie, prenderà sempre più consapevolezza di sé, del mondo intorno a lui e della tragicità della vita che, lasciando il lavoro da colonnista di necrologi, aveva forse tentato di rimuovere dalla sua vita.

Ciò che, però, mi ha aiutata forse di più durante la degenza in ospedale è stata la presenza costante del cibo nel romanzo. Pereira ama mangiare e si gusta con una quasi religiosità le sue omelette e la sua limonata al Café Orquidea - che nella mia mente si materializzava come il Café A Brasileira di Lisbona che avevo visitato qualche mese prima in compagnia di mio papà e che compare anche nella copertina dell'edizione cartacea.

Il cibo diventa piano piano per Pereira un momento di confessione con sé stesso, di riflessione e, come se iniziasse gradualmente ad alzare la testa dal piatto per guardarsi intorno, l'atto del mangiare diventa anche un momento di condivisione con il mondo.

Dopo giorni intensi di digiuno, ascoltare di quelle deliziose omelette non faceva altro che farmi tornare la voglia di mangiare e di uscire da dove mi trovavo, ma in un modo inaspettato. Sapevo di avere qualcosa da fare dopo e in quei momenti di solitudine e tristezza era una grande consolazione. Perché sapere che c'è qualcosa dopo, qualcosa che siamo curiosi di scoprire e di fare è una bella spinta per andare avanti e non dimenticarsi che al di fuori della nostra esperienza di vita ce ne sono altre che non aspettano altro di essere scoperte.

1 commento:

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