giovedì 27 giugno 2019

giugno 27, 2019

Gli oggetti a tema letterario: un ottimo esempio con i Minimal Incipit

Una mia grande passione sin da quando ero piccola è stata collezionare oggetti che facessero riferimento ad una mia passione del momento: libri, sport - in maniera esigua, sempre - film, serie TV. Razionalizzando questa mia predilezione nell'accumulare "oggetti di culto" posso facilmente ritrovare un motivo che mi ha sempre spinto a farlo, ovvero l'idea di portare con me o di avere sempre a portata di mano o occhi qualcosa che mi ricordasse, anche in modo un po' teneramente nostalgico, una parte di un periodo della mia vita. Guardare ora la bacchetta di Hermione Granger che comprai a King's Cross ormai nel 2014, o rigirarmi tra le mani la Giratempo regalatami ad un compleanno di sei anni fa - non è tanto, lo so, ma per me è un'eternità - mi fa sorridere e sono felice. Felice perché penso che quegli oggetti rappresentino una parte di me del passato che mi rimane ancora oggi accanto.

Ecco perché, quando ho ricominciato a leggere sistematicamente al liceo e approfonditamente all'università, la passione per scovare gli oggetti a tema libresco o letterario è aumentata vertiginosamente. Tazze - oh, quante ne accumulo! -, borse di tela, magliette o altri oggetti che riportino una parte di un libro o che facciano riferimento ad esso in maniera simpatica e originale rendono la mia vita un po' più piena e anche colorata.

Trovare questo tipo di oggetti non è sempre stato facile e nemmeno economico. Spesso gli oggetti a tema libresco o letterario più originali e particolari provengono da oltreoceano e per quanto finanziare i piccoli artigiani e artigiane che si impegnano per creare dei prodotti di qualità possa essere una nobile idea, non sempre è realizzabile. Il problema sono anche le spese di spedizione che spesso superano quelle dell'oggetto che abbiamo addocchiato. Questo tipo di realtà, in Italia, è ancora poco diffusa o, per lo meno, viene forse vista con riguardo dai più che leggono: parliamo di oggetti che alimentano la nostra passione per i libri e che ne fanno da "corredo" oppure si tratta di semplice oggettistica di consumo di cui possiamo fare a meno? La risposta, nel dubbio, è nel mezzo, perché bisogna sempre saper cercare e scegliere in modo consapevole l'oggetto che stiamo comprando. Non tutti gli oggetti a tema letterario o libresco sono da buttare via e ho subito l'esempio perfetto per te.

L'anno scorso, girovagando per le strade di Vigevano con la mia amica Sara, siamo andate a rifarci gli occhi nella libreria Le Notti Bianche, nella quale ho scoperto l'esistenza dei Minimal Incipit. Sistemati con molta cura tra gli scaffali, appesi alle pareti, appoggiati a terra in vista o in una cassa di legno pronti per essere sfogliati, questi poster di bellissima fattura e grafica mi hanno chiamata a loro. In parte, si è realizzato un piccolo sogno che avevo: possedere un oggetto che rappresentasse precisamente un libro che avevo letto e amato, che non fosse generico nel riferimento - capita soprattutto quando da un libro viene tratto un film e la maggior parte dei riferimenti sono a quest'ultimo, come nel caso di Harry Potter - ma che puntasse proprio alle pagine di carta di quel libro.

I Minimal Incipit sono dei poster di cartoncino pressato che riportano l'incipit, quindi le prime righe di un romanzo, accompagnato da una rappresentazione grafica minimale che ne racchiude l'essenza. Giancarlo, la mente geniale dietro a questi poster, è riuscito a creare un prodotto perfetto per noi lettori: un oggetto che vivacizzi l'idea di letteratura - e non solo, ma di questo te ne parlo tra poco - e rinforzi quel valore affettivo che si crea tra noi e i libri che leggiamo e che possiamo ammirare quando vogliamo. I Minimal Incipit danno voce ai nostri libri e contribuiscono anche a sottolineare la bellezza, anche quella estetica, della cultura letteraria che sì, diciamolo a gran voce, può anche essere esposta e ammirata.

Tuttavia, la produzione Minimal Inc. non si è fermata alla letteratura ma ha iniziato ad esplorare altri ambiti della cultura internazionale, finendo per lambire le coste del cinema, delle serie TV, della musica e coinvolgendo anche degli studenti di alcuni licei per realizzarne di nuovi. In questo modo, sono nati i Minimal Cult, i Minimal Songs e il progetto "A scuola con i Minimal Incipit".

Tanto per rimanere in tema Harry Potter, ho incontrato Giancarlo al Salone del Libro di Torino e ci siamo fatti una piacevolissima chiacchierata, alla fine della quale quest'uomo tanto geniale quanto gentile mi ha fatto un dono meraviglioso: il Minimal Inc. de La pietra filosofale. Ho deciso di incorniciarlo ed esporlo in bella vista in camera, accanto alla mia luminosa libreria.

Piccoli momenti di felicità a parte, la chiacchierata con Giancarlo si è conclusa anche sulle note di una promessa, che qui ti riporto fedelmente. Chi meglio del creatore può raccontare la creatura? Ecco l'intervista a Giancarlo Pasquali.

1- Il formato dei tuoi poster è minimale e, quindi, essenziale nella sua genialità e carica espressiva. Qual è stato il processo creativo dietro al “poster numero zero” e come lo hai sviluppato in seguito?
Innanzitutto grazie mille, visto che mi hai conosciuto sai bene quanto mi faccia piacere parlare dei Minimal Incipit e di quello che li circonda. Il poster numero zero è stato l’incipit di Moby Dick ed è nato, insieme ad altri 35, per arredare una serata di incontro con gli autori in un’associazione culturale. Ho fatto una ricerca riguardo gli incipit più amati dai lettori invece per l’illustrazione ho messo in campo la mia professionalità di grafico per i disegni in vettoriale (2D).
2- La prima edizione degli Incipit l’hai dedicata alla letteratura e questo legame è continuato anche nelle edizioni successive. Qual è il motivo di questo legame tra la grafica minimal e la letteratura?
La parola che lega tutto quello che faccio nelle produzioni Minimal è passione: passione per il mio lavoro e per la letteratura. La passione mi ha permesso di sviluppare il lato creativo che si era nascosto per parecchio tempo.
3- Che tipo di impronta personale hai deciso di dare a questo tipo di grafica minimale quando è arrivata l’idea degli Incipit e perché hai scelto proprio questo mezzo artistico di espressione?
Da sempre amo lo stile minimale nato da creativi visionari a metà degli anni ‘50 (Saul Bass su tutti). Ho scelto questo mezzo perché mi risulta il più semplice visto che utilizzo i software grafici da 30 anni e l’impronta personale credo sia quella patina di usato che applico (sempre digitalmente) sopra i miei disegni.
4- La mente di un creativo è sempre all’opera. Al Salone del Libro mi hai anticipato che ci sono dei progetti in corso e quindi, immagino, avrai in cantiere altri tipi di Minimal Inc non solamente legati alla letteratura ma anche al mondo del cinema e delle serie TV in generale. Bisogna aspettarsi novità in arrivo?
Da qualche anno ho lanciato delle finte locandine di film e serie tv, parallelamente ho creato dei poster dedicati ad alcuni aforismi sportivi. La novità di questo 2019, che ho anche presentato al Salone, riguarda i Minimal Songs: la riproduzione di disegni minimal che rappresentano alcune canzoni su un supporto di formato quadrato (30x30 cm) che ricorda il vinile.

sabato 8 giugno 2019

giugno 08, 2019

"Le cose che accadono": leggere un'altra Virginia Woolf. Con un'intervista a Iolanda Plescia


Si è concluso ormai da un po' di settimane il progetto Le cose che accadono, la lettura e commento del secondo volume dell'epistolario di Virginia Woolf, nato dalla mente pazza e appassionata di Carmen. E' stato un percorso decisamente divertente, non leggero ma di estremo interesse per noi tutti Virginia Lovers. Condividere più di due mesi di confronti virtuali con Carmen, Federica, Federico, Lisa, Oriana e Serena è stata un'esperienza del tutto nuova per me che mi ha dato la possibilità di conoscere non solo una Virginia diversa, ma anche di approfondire quella che conoscevo già. L'anno scorso mi ero detta spesso che sarebbe stato l'anno di Virginia, perché era capitato che a Natale avessi ricevuto una serie di libri su e di Virginia che ho guardato avidamente per tanto tempo. Poi il Natale è passato e la mia vita ha preso una strada che non avevo preventivato; l'università ha preso prepotentemente il sopravvento e non mi ha lasciata fino ad aprile di quest'anno; ho fatto una serie di incontri più o meno fortunati e ho, spero, trovato una serenità tale che alla fine credo di essermi un po' meritata.

Anche Virginia, alla fine, è arrivata e lo ha fatto come fa lei: delicata, leggiadra ma decisa, chiara e senza troppi peli sulla lingua. In una giornata di inizio giugno del 2018 la mia copia Einaudi di Mrs Dalloway mi ha richiamata a sé esigendo di essere letta. Era giunto il momento. Tra gli ultimi esami da fare prima della laurea, la lettura dei libri per la tesi - Faulkner vi dice qualcosa? - e la ricerca bibliografica per la tesi stessa, Clarissa Dalloway è stata presa e abbandonata sul comodino più e più volte, finché a dicembre non ho deciso di immergermici definitivamente e finire il romanzo. Ti racconterò in un altro momento la mia esperienza con uno dei libri più famosi di Virginia, perché questo preambolo molto poetico sul mio primo incontro con Woolf serve come base per il progetto nel quale mi sono immersa un paio di mesi dopo.

Mrs Dalloway Ã¨ stata una lettura intensa e profonda, che mi ha fatto capire ed entrare in una fase molto importante per la produzione letteraria di Virginia. Mrs Dalloway Ã¨ un romanzo che, tra le tante cose che fa, inquadra varie scene di vita: quella di Clarissa, che decide di andare a comprare i fiori lei stessa, quella tormentata di Septimus, quella preoccupata della moglie di Septimus, la vita di rimorsi e di avventure di Peter Walsh e per finire una vita pericolosamente troppo normale di una Londra del dopo guerra. La visione che Virginia dà di questi attimi di vita è, nella sua poesia, il culmine di un tipo di vista sul mondo che ha usato prima nei suoi racconti. Il progetto sul volume dell'epistolario Le cose che accadono mi ha dato la possibilità di scoprire anche questi nella loro genesi, produzione e pubblicazione.

Nella diretta del 16 aprile io e Carmen abbiamo affrontato un'infinità di argomenti che avevamo ordinatamente raggruppato per temi, ma nonostante un'organizzazione impeccabile, l'ora e mezza di diretta non è stata sufficiente per affrontarli tutti. Riporto qui le parti più salienti e non affrontate di quella sera, le parti anche un po' più tenere che ci fanno scoprire una Virginia insicura, premurosa e curiosa.

Woolf e Joyce: un rapporto complicato.

Le lettere che io e Carmen abbiamo letto risalgono all'anno 1918-1919, un periodo colmo di avvenimenti interessanti, tra cui l'incontro con James Joyce e il suo Ulysses, un romanzo che Virginia e Leonard rifiutano di pubblicare con la Hogarth Press, la casa editrice da loro creata nei mesi precedenti. La motivazione sembra essere di natura puramente economica perché il romanzo di Joyce aveva fin troppe pagine - un manoscritto di 300 pagine che all'epoca sarebbe costato troppo stampare per una piccola casa editrice. La verità, invece, è tutt'altra: Virginia legge l'Ulysses e lo detesta con tutta sé stessa, ne parla come un romanzo volgare del quale non capisce il senso. Cambierà comunque idea nei mesi successivi, anche grazie all'opinione di T. S. Eliot sul romanzo. La realtà di questa situazione si collega molto bene anche ad un profondo sentimento che Virginia prova in questi anni, ossia quello di non sentirsi riconosciuto il suo talento letterario; sa di averlo ma ne è estremamente insicura. Leggere un romanzo come quello di Joyce certo non aiuta la sicurezza in se stessa...
23 aprile 1918. A Lytton Strachey. [...] Ci è stato chiesto di stampare il nuovo romanzo del signor Joyce, dopo che tutti i tipografi di Londra e la maggior parte di quelli di provincia avevano rifiutato. Per cominciare c'è un cane che piscia - poi c'è un uomo che si masturba, e si può essere monotoni anche su quest'argomento. Inoltre, credo che il suo metodo, che è molto elaborato, voglia poi dire soltanto tagliar via le spiegazioni e mettere i pensieri tra virgolette. Perciò non penso lo stamperemo.
17 maggio 1918. A Harriet Weaver. [...] Abbiamo letto i capitoli del romanzo del signor Joyce con molto interesse, e vorremmo poter offrirci di pubblicarlo. Ma la lunghezza è un ostacolo insuperabile per noi al momento. 
Una piccola curiosità: se si confrontano le date delle lettere, Virginia Woolf sembra iniziare l'Ulisse intorno all'aprile del 1918, come riporta la lettera citata sopra. Porta avanti la lettura nonostante detesti il romanzo con tutta se stessa e stia anche leggendo in contemporanea anche Alla ricerca del tempo perduto di Proust, che, al contrario di Joyce adora e ammira profondamente. Virginia termina l'Ulisse solamente intorno al settembre del 1922, quasi ben due anni dopo averlo cominciato. Chi dice che i grandi scrittori non siano anche degli esseri umani come noi a cui può non piacere un libro come quello di Joyce e, per di più, metterci un bel po' di tempo per terminarlo?
3 ottobre 1922. A Vanessa Bell. [...] Mi incateno a quel libro [Ulisse di Joyce] come un martire al palo del supplizio, ed ora, grazie a Dio, l'ho finito. Il mio supplizio è terminato. 
L'ammirazione verso T. S. Eliot.
T. S. Eliot a Monk's House.

Al contrario di quanto accade con James Joyce, un'altra personalità letteraria del periodo fa breccia nel cuore di Virginia: si tratta di T. S. Eliot, che pubblicherà i suoi Poems per la prima volta proprio con la Hogarth Press. Virginia è affascinata da questo giovane talentuoso, lo invita a cena a casa Woolf e conversa con lui, anche se riconosce la sua lentezza nell'esprimere anche un semplice concetto.
18 novembre 1918. A Roger Fry. [...] Abbiamo avuto a cena quello strano giovane, Eliot. Ci mette tanto di quel tempo a dipanare le sue frasi che non siano arrivati molto lontano; ma abbiamo raggiunto Ezra Pound e Wyndham Lewis, e che grandi geni erano, e anche il signor Joyce lo è - su questo sono più propensa a trovarmi d'accordo; ma perché Eliot si è impantanato in questa melma? La sua cultura non può tirarlo fuori, o è la cultura che ti fa finire lì? Non che io abbia letto più di 10 parole di Ezra Pound, ma la mia convinzione della sua impostura è incrollabile.

Gli scritti e la guerra.

Una parte di queste lettere che ho trovato molto interessante - tra i vari intrighi di domestiche, torchi per stampare le illustrazioni e conflitti familiari - riguarda proprio il rapporto di Virginia con i propri scritti. Si chiede spesso se ciò che ha prodotto possa piacere al pubblico, scrive ai suoi amici del Bloomsbury se il racconto che ha appena finito sia di loro gradimento, per poi crollare e ammettere che "[o]ra mi sembra che il mio racconto sia bruttissimo…". Da questo quadro esce fuori una Virginia più umana ma soprattutto a contatto con la propria realtà, a dispetto di coloro che continuano a ritrarre la scrittrice come una suicida alienata ed estraniata dal mondo nel quale vive.

Questa caratteristica vitale di Virginia è fondamentale per capire la sua vita, la sua produzione letteraria e, se si vuole, anche il suo gesto finale. Nelle lettere lette, ad esempio, Woolf si preoccupa di molti aspetti della sua vita e nel momento in cui quella vitalità di cui lei stessa si nutre quotidianamente - odia restare chiusa in casa a causa della pioggia o del mal di testa - viene a mancare, lei si sente persa.

A conferma di ciò, Virginia partecipa attivamente all'osservazione di Londra e i dintorni nel periodo bellico e post-bellico. Assolutamente distante dalle questioni politiche, delle quali si occupa forse più Leonard di lei, Woolf è una persona che vive la guerra come chiunque altro, preoccupandosi del quotidiano ma anche del proprio futuro.
7 giugno 1918. A Molly MacCarthy. [...] Ti scrivo, posso ben dirlo, con enorme difficoltà, perché sto sostenendo con Leonard un'animata conversazione sulla vita in generale. E' felice? Abbiamo successo? Piacciamo alla gente? Cosa faremo quando sarà finita la guerra?
12 settembre 1918. A Vanessa Bell. Carissima, Leonard vuol provare a venire nonostante il tempo. [...] Vuoi che la signora Hammond porti tutte le sue tessere per il razionamento? Penso di sì.
Virginia Woolf intorno al 1920.
Londra, infatti, introdusse i cosiddetti food rationing, ossia il razionamento del cibo, nei primi mesi del 1918 per ridurre al minimo i consumi e la produzione di cibo. Nel momento in cui la guerra cessa per l'Inghilterra, Virginia non si smentisce e descrive con estremo divertimento di noi lettori una Londra bizzarra e folle dalla felicità che quasi disturba la sua concentrazione.
11 novembre 1918. A Vanessa Bell. Carissima, è mezzora che rimbombano i cannoni e suonano le sirene; perciò penso che siamo in pace, e non posso fare a meno di essere contenta del fatto che il tuo prezioso folletto [Angelica] nascerà in un mondo moderatamente ragionevole. Vedo che non ci sarà concesso di stare tranquilli tutto il giorno, perché sembra che la gente fischi ed inciti i cani ad abbaiare, anche se tutto è fatto in modo così intermittente da non avere alcun effetto, salvo disturbare. [...] Oh povera me, ora dei soldati ubriachi cominciano a lanciare grida di giubilo. Come faccio a scrivere il mio ultimo capitolo [di Night and Day] con tutto questo chiasso, e Nelly e Lottie [le domestiche] che irrompono a fare domande - ecco Nelly con 4 bandiere differenti che sta mettendo in tutte le stanze sul davanti. [...] Che chiasso fanno - e io, sebbene nel complesso sia piuttosto commossa, i sento anche enormemente malinconica. [...] C'è sicuramente anche un'atmosfera da letto di morte.

L'amore di una zia.

Se questa vitalità di Virginia viene presa come il fondamento della sua esistenza, si comprende anche un altro particolare evidente contenuto nelle lettere lette. Virginia non è mai diventata madre nonostante desiderasse dei figli; il medico, non si capisce con quale scusa, aveva consigliato a lei e a Leonard di non provare ad averne per la condizione psicofisica di Virginia. Il desiderio di maternità della scrittrice si dirige, comunque, verso un altro obiettivo, ovvero gli adorati nipoti, i figli della sorella Vanessa.

Virginia è una zia meravigliosa: si prende cura dei nipoti quando questi le vengono a far visita, li porta in giro, conversa con loro come fossero adulti e ne riconosce le abilità oratorie, soprattutto quelle di Quentin.
31 dicembre 1918. A Vanessa Bell. [...] Comunque, come dico, i bambini stanno benissimo, e non danno alcun fastidio. [...] Sono estremamente interessanti, oltre che simpatici. Julian, naturalmente, sa molte più cose sulla scienza, la storia e la geografia di me. Lui e Leonard ieri hanno avuto una discussione a proposito di cosa succederebbe se si mettesse un barometro sott'acqua in profondità. Leonard è rimasto molto colpito dalla sua intelligenza, e mi accorgo che si sta affezionando molto a loro. La mente di Quentin è, credo, assai simile alla mia. [...] Come fanno ad acquisire una tale ricchezza di linguaggio non lo so; mi pare una cosa straordinaria - a dire il vero, le loro menti nel complesso mi sembrano più svelte e intelligenti delle nostre.
Nel momento in cui Vanessa resta nuovamente incinta, Virginia, premurosa e accudiente com'è, si fa carico di una serie di compiti per allegerire lo stress della sorella, tra cui il prendersi cura dei nipoti nel periodo di Natale. Virginia è entusiasta, non solo di loro, bensì anche - e forse soprattutto - della nuova arrivata: Angelica Bell - poi conosciuta come Garnett, ma questa è un'altra storia... - nasce il 25 dicembre 1918 e la felicità di zia Virginia è incontenibile.
25 dicembre 1918. A Vanessa Bell. [...] Non ti puoi immaginare come ero eccitata, quando ho sentito di mia nipote. A dire la verità anche tu ti saresti commossa se avessi saputo come la gioia che provo qui s'era dileguata completamente, finché non mi hanno detto che era tutto finito. Come vedi sto diventando una vecchia zia ipersentimentale (sto già adottando il linguaggio di zia Mary) nei suoi confronti. Dev'essere la creaturina più adorabile dell'universo.
8 maggio 1919. A Violet Dickinson. [...] L'altro giorno ho visto mia nipote, Angelica; è deliziosa, con gli occhioni blu e le dita lunghe.
La bellezza e la profondità di Virginia Woolf fuoriesce prepotentemente dalle lettere che abbiamo letto e io non potrei essere più felice di aver avuto la possibilità di leggerle insieme ai miei compagni di avventura. Virginia parla per sé in queste lettere, mostra i suoi lati peggiori e quelli migliori senza alcun filtro ed è questo il motivo per cui è fondamentale e importante leggerle se la si vuole capire fino in fondo. Il resto sono chiacchiere che non hanno motivo di esistere.

L'intervista.

Ti lascio con una piccola postilla di chi Virginia Woolf l'ha studiata per una vita. Grazie al progetto, ho avuto la possibilità di conoscere e chiacchierare di questa scrittrice con Iolanda Plescia, professoressa di lingua inglese alla Sapienza, l'università dove studio. Il suo intervento è perfetto per concludere questa panoramica su una delle scrittrici più importanti del secolo scorso.

Virginia Woolf tesse una rete molto intensa di relazioni a vari livelli - intellettuali, amorose, amicali - con molti scrittori e scrittrici a lei contemporanei, come i membri del “Bloomsbury Group”, James Joyce, Katherine Mansfield o Vita Sackville-West. Che tipo di rapporto intrattiene Virginia con questa cerchia di scrittrici e scrittori, i quali spesso ottengono più riconoscimenti a livello letterario di lei?
Virginia Woolf ha vissuto quel che potremmo definire una vita di relazione, e pensa spesso a se stessa in relazione alle persone a lei più vicine.
Sin dalla decisione giovanile di lasciare Hyde Park Gate per andare a vivere con la sorella Vanessa e i fratelli Thoby e Adrian in un quartiere molto meno aristocratico di Londra, a Gordon Square appunto nel distretto di Bloomsbury, Virginia pensa a se stessa come al membro di una comunità, prima ancora che di una famiglia, e questa è un’impronta che ha dato alla sua vita e che vedremo continuare fino alla sua morte, come testimoniano le sue numerosissime lettere, scritte agli amici e alle persone che ha più amato lungo l’arco di una vita intera.
Particolarmente interessanti sono proprio le lettere e le testimonianze che ritroviamo nel suo diario, rivolte o dedicate ad altri intellettuali, non sempre necessariamente al centro del suo gruppo, che scrivono e si muovono nella sfera pubblica in quella loro epoca di grande trasformazione.
In realtà gli appartenenti al ‘gruppo’ non si definiscono come tali in senso formale, e si sentono più uniti da interessi condivisi e una comune passione per l’Arte: è difficile dunque delimitare il ‘gruppo’ con molta nettezza.
Oltre ai coniugi Woolf possiamo ricordare Keynes, grande economista che elaborò il concetto di pace economica, Strachey, che si occupò soprattutto di scrittura biografica trasformando profondamente il genere, lo scrittore Forster, il critico d’arte Clive Bell, Vanessa, la sorella di Virginia a lui sposata, Duncan Grant
Questi intellettuali intrecciano le loro vite in modo così profondo che è difficile parlare di influenza dell’uno sugli altri separando i rapporti, ed è probabilmente per questo che sono stati percepiti come un movimento, un gruppo compatto.
Certo è che condividono l’antipatia per le convenzioni sociali, per l’ipocrisia, e una volontà di mettere in gioco la loro arte o il loro sapere per scandagliare a fondo l’esperienza umana. Ma anche con altri intellettuali, che potremmo definire non al centro ma on the fringe, cioè che ruotano intorno al nucleo del gruppo (ma anche qui si tratta spesso di percezioni a posteriori dei critici), Woolf intrattiene relazioni molto profonde.
Il rapporto con Vita Sackville West è per lei fondamentale, come sappiamo, e più che ripercorrerlo qui consiglierei un libro appena uscito che riprende la loro corrispondenza offrendone una selezione tradotta in italiano, in cui i sentimenti delle due donne emergono in modo molto vivido: Scrivi sempre a mezzanotte, con traduzioni di Nadia Fusini e Sara De Simone, a cura di Elena Munafò (Donzelli editore).
Famosa è anche l’amicizia con Katherine Mansfield, un rapporto ambivalente, ma molto importante: si conoscono solo dal 1917 al 1923, anno della morte di Mansfield, ma intrecciano un’amicizia fortissima ma anche molto sincera, non priva di momenti di disagio, dissapore, anche crudeltà in un certo senso.
Virginia paragonerà Katherine, che viene dalle colonie, dalla Nuova Zelanda, a una gattaccia randagia; Mansfield scriverà una recensione sfavorevole a un lavoro della sua amica; ma entrambe sanno che sono donne impegnate in una ricerca molto affine, e la Hogarth Press dei coniugi Woolf pubblicherà il Preludio di Mansfield nel 1918.
Quando Mansfield muore di tubercolosi all’età di 34 anni, Woolf scrive nel suo diario: Ero invidiosa della sua scrittura – la sola scrittura di cui sia mai stata invidiosa.
È forte in Woolf appunto la sensazione che le menti più geniali intorno a lei siano impegnate in una ricerca simile alla sua, ognuna con il suo linguaggio, con il suo tono. T.S. Eliot, che a noi appare tanto austero, è per Virginia semplicemente ‘Tom’: saranno amici per vent’anni, condivideranno letture e opinioni, si leggono l’un l’altra, offrendo critiche e consigli, pur percorrendo strade diversissime dal punto di vista dell’espressione estetica; anche ‘Tom’ sarà pubblicato nel 1919 dalla Hogarth Press.
Più distante il rapporto con l’‘altro’ grande modernista, James Joyce: qui davvero si può parlare di mondi diversi, anche se di nuovo la ricerca è in fondo la stessa.
Ma il lavoro rivoluzionario sulla lingua portato avanti da Joyce non è particolarmente affine alla ricerca stilistica di Woolf, e lei lascia nei diari e nelle lettere impressioni molto dure sull’Ulisse – impressioni che qualcuno ha voluto leggere come frutto d’invidia per la fama raggiunta dallo scrittore irlandese, ma dovute in realtà al fatto che Woolf non apprezza ciò che considera degli ‘stunts’, dei mezzucci, dei trucchetti spettacolari con il linguaggio che trova pretenziosi: A first-rate writer respects writing too much to be tricky; startling; doing stunts.
D’altra parte, ricordano i maligni, i coniugi Woolf avevano ricevuto la proposta di pubblicare l’Ulisse e avevano rifiutato, e dunque… Celebre è rimasta l’immagine con la quale Woolf liquida Joyce come un giovane ‘brufoloso’, che per rinnovare il romanzo si comporta come un ragazzino disperato: per far entrare aria in una stanza non si limita ad aprire una finestra, ma si mette a spaccare tutti i vetri.
Eppure, in un altro passo del diario, Woolf esprime la consapevolezza che in fondo stanno entrambi cercando di raccontare l’esperienza della vita dal punto di vista interno, innovando la forma del romanzo.
Da tutti questi rapporti, così complessi, così vitali, improntati a volte alla sincerità più brutale, Woolf impara, trae spunti; osserva e si sente osservata; dialoga; le interessa l’opinione delle persone che ha attorno: la scrittura è anche condivisione. Sapere di essere letta, apprezzata, dagli amici ma anche da un pubblico più vasto, è per lei importante, e Virginia ci lascia varie testimonianze nel diario ad esempio sulle copie che ha venduto, sui progetti di pubblicazione in America…
Non si tratta di sterile ambizione, ma di una volontà di sentirsi ‘connessa’, diremmo oggi, è lo spirito di un’epoca di grande ricerca.
È anche per questo che nella Woolf Society italiana facciamo un lavoro che sottolinea molto la parola ‘comunità’, ed è per questo che nella prossima giornata “Tutta per lei”, che dedicheremo a Woolf presso la Casa Internazionale delle Donne il prossimo 9 giugno, abbiamo immaginato una sezione apposita che chiameremo ‘amicizie stellari’, in cui studiosi e appassionati ci racconteranno, in pillole, di alcune amicizie per lei fondamentali, non limitandosi a quelle da lei coltivate realmente, ma allargando anche alle affinità elettive che la legano a personaggi che non ha mai incontrato.
Iolanda Plescia

Consigli di lettura su Virginia:
- Virginia Woolf, Vita Sackville-West, Scrivi sempre a mezzanotte, a cura di Nadia Fusini, Sara de Simone ed Elena Munafò.
- Leonard Woolf, La mia vita con Virginia, a cura di Leonard Woolf.
- Virginia Woolf, Lunedì o martedì. Tutti i racconti, raccolta dei racconti scritti da Virginia negli anni delle lettere e citati spesso in queste ultime.
- Virginia Woolf, Granito e arcobaleno, estratti dalla raccolta pubblicata postuma da Leonard di saggi, articoli e riflessioni perduti di Virginia.

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Qualche pettegolezzo è gradito
Scrivere una lettera è come una lunga sosta al gabinetto
Virginia&Vanessa, Vanessa&Virginia (con un mio piccolo intervento sui racconti di Woolf...)
Non diventerò mai una scrittrice, disse Virginia Woolf 

sabato 1 giugno 2019

giugno 01, 2019

#LeOreconTolkien: un'avventura con "Il Signore degli Anelli"

"Three Rings for the Elven-kings under the sky,
Seven for the Dwarf-lords in their halls of stone,
Nine for Mortal Men doomed to die,
One for the Dark Lord on his dark throne
In the Land of Mordor where the Shadows lie.
One Ring to rule them all, One Ring to find them,
One Ring to bring them all and in the darkness bind them
In the Land of Mordor where the Shadows lie."

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